Pellegrinaggio 1° Acquapendente - Bolsena - Parrocchia Sturno

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Pellegrinaggio 1° Acquapendente - Bolsena

Pellegrinaggi

Pellegrinaggio per il Giubileo della Misericordia
ACQUAPENDENTE - ROMA
Testimonianza del pellegrinaggio compiuto alle tombe di Pietro

Primo giorno: Acquapendente-Bolsena

Domenica 8 di maggio del 2016, quando mi sveglio è l’alba, dormono ancora tutti nella Casa del Pellegrino di Acquapendente. Completo l’apposizione del  secondo timbro sulle Credenziali, il primo timbro l’aveva apposto la sera prima lo stesso Sig. Sergio Pieri, il funzionario comunale che gentilmente aveva procurati e forniti i quattro lasciapassare o passaporti che dir si voglia. Quando torno dal bagno, c’è ancora silenzio intorno a me, ormai anche i più irriducibili hanno smesso di russare, io evitando di rientrare nel camerone dove ho dormito con Antonio, Giancarlo e altri due pellegrini austriaci, Sabina invece sta dormendo, in un'altra stanza, con due pellegrine francesi. Mi metto a fare, pertanto, un cruciverba della Settimana Enigmistica che mi accompagna sempre, in casa e fuori, compreso quando sono all’estero. Sono circa le 5,30 quando fa il suo ingresso nel cucinino la più giovane delle francesi: - Buongiorno! Sorride ma non si sorprende quando le rispondo in francese: un Bon jour Madame! lo sa augurare anche una capra spagnola! Mentre io insisto nei miei esercizi di memoria, la ragazza provvede a fare colazione: una banana, due fette biscottate con marmellata di ciliegia, un bicchiere di latte freddo. Sopraggiunge un altro pellegrino, augura il suo buongiorno e poi si mette a parlare in francese con la ragazza che, intanto terminata la colazione, sta rifacendo il suo enorme quanto pesantissimo zaino, sembra che dietro di sé si sia trascinata mezza Francia, Torre Eiffel, compresa… Dalla loro conversazione, involontariamente capto una frase: - …la dame italienne, pour tout la nuit… Gronf… gronf,..!!!  Mi scappa da ridere, non tanto per come la francese abbia mimato il “russare”della signora italiana ma, soprattutto, immaginando la reazione di Sabina quando più tardi le racconterò ogni cosa… per il momento mi trattengo, fingendo di non aver capito o di pensare ai fatti miei. Completate le operazioni, la giovane transalpina carica sulle sue gracili spalle il pesante fardello e salutando con un sorriso inforca le scale che, dal piano primo dell’ostello, la porteranno prima giù nell’androne ed infine, attraversato il massiccio portone in legno, fuori nel vicolo appena rischiarato dalle prime luci del giorno. Nel giro di pochi minuti, la cucina si rianima come un formicaio, tutti a turno danno l’assalto ai due servizi igienici, qualcuno mangiucchia qualcosa, altri si affannano attorno ai loro zaini, qualcun’altro spalanca il frigo prelevandone qualche cibaria che evidentemente aveva immagazzinato la sera precedente. Antonio porta la notizia che sul selciato della strada sottostante si scorgono tracce di pioggia, non è una bella notizia per i pellegrini ma nessuno si fa prendere dallo sgomento. Sabina è alle prese con il suo armadio (zaino) ma suo marito Giancarlo non le è da meno: chissà se metto questo o quest’altro ma… forse è meglio quest’altro ancora! E se poi dovesse piovere? sembra di essere ad una sfilata di moda… sportiva! Dio mio, pensaci tu! Ma chi me li ha mandati? Antonio! Ecco chi è stato… Se lo prendo gli taglio il collo… Mi tengo calmo, continuo a fare le mie parole crociate… Quando carichi ed impazienti di partire, siamo giù in strada si son fatte quasi le 7,00, viene ancora giù qualche goccia ma non tiriamo fuori le mantelline incerate, non si annusa aria di pioggia, forse è solo umidità della notte che viene giù (acqua…pendente?) in questo catino nel quale è stato costruito il primo paese laziale, una volta lasciate la Toscana a nord e l’Umbria, ad oriente. Dopo alcuni minuti transitiamo davanti a una basilica di stile romanico e appartenente storicamente all'ordine benedettino. È chiamata del Santo Sepolcro perché, nella cripta, è conservata una pietra macchiata di sangue che si dice provenga dal Santo Sepolcro di Gerusalemme. Percorriamo un breve tratto lungo una pista pedonale che costeggia la Cassia, svoltiamo a destra e dopo circa un chilometro ci troviamo su una strada carrareccia che si infila tra i campi coltivati, dopo una mezzora ci ritroviamo di nuovo sulla Cassia ma solo per attraversarla e inforcare un’altra strada campestre che gira tutt’attorno ad una zona industriale. Campi coltivati, a destra e a sinistra, ci accompagnano per circa un paio d’ore, non c’è un posto per sedersi né per poter appoggiare uno zaino senza impolverarlo, quando ritorniamo sulla grande arteria ormai siamo a cinquecento metri da San Lorenzo, finalmente possiamo fare colazione: brioche e cappuccino, con un’abbondante spolverata di cacao, per tutti! Una volta rinfrancati e dopo una mezzoretta di riposo, ci rimettiamo in cammino ma dopo dieci minuti dobbiamo ritornare nuovamente davanti al bar: qualche cretino (ve lo ricordate che la madre degli imbecilli è sempre incinta?) ha manomesso l’indicazione della Via Francigena, presente su di un palo della piazza, e questo gesto irresponsabile costringe i pellegrini a prendere una direzione sbagliata. Usciamo dal paesello e, finita la leggera discesa, ci troviamo di fronte ad una delle prime vedute del lago di Bolsena che sarebbe da mozzafiato se non fosse che manca il sole ed il cielo è completamente grigio. Il tempo di assaporarla appena e la Francigena si infila in una fitta boscaglia, dalla quale emergeremo poco meno di un ora dopo e sempre con vista grigia del lago. Una carrareccia poi ci porta su è giù lungo il crinale delle colline che si innalzano sul nostro fianco sinistro, infine sullo sfondo a circa un’ora e mezza di cammino compare la sagoma del castello di Bolsena.
Ci imbattiamo finalmente in un tavolo e due panchine, di assi di legno, ne approfittiamo per consumare un tramezzino a testa che Giancarlo si era trascinati dietro da Villanova e che la sera precedente non avevamo consumati, preferendo andare a fare una pizza in quel di Acquapendente. Quando riprendiamo il cammino ci troviamo circondati da alcuni prati in fiore e ne approfittiamo per fare qualche foto, il sole latita ancora ma c’è un filino di luce in più. Prima di entrare in Bolsena, dalla parte alta, quella del castello, siamo costretti a tirare fuori le mantelline, solo quattro gocce ma tant’è. Alla Pensione Italia, ci accoglie una signora gentile, le camere non sono un granché ed i bagni messi maluccio ma noi siamo adesso parecchio stanchi e chiediamo solo di infilarci sotto una doccia calda e desideriamo poter indossare un pigiama o degli abiti puliti ed asciutti. Antonio, Sabina e Giancarlo optano per il pigiama, io non riuscendo a dormire di pomeriggio, scelgo di andare a fare un giro. Proprio sotto la pensione, sempre in Via Cavour la mia attenzione viene attratta da un piccola e alquanto strana insegna, a modo suo un po’ particolare: Le Sorgenti - Libr’Osteria. Infilo incuriosito la porta-vetrina del locale, sulla sinistra è allocato un minuscolo bancone e poi un lungo corridoio, metà mercato, metà libreria, un bazar… pieno di ogni cosa ma soprattutto di tanti tantissimi libri negli scaffali o in vendita, offerta speciale, nelle ceste di vimini ed altro genere di contenitori. Mi metto a curiosare, scelgo un libro e poi, uscendo dalla porta sul retro del locale, mi ritrovo in un grazioso cortiletto, ricco di piante e fiori. Ci sono tre o quattro tavolinetti, ne scelgo uno e mi abbandono stancamente su una delle sedie, comincio a sfogliare il libro. Dopo un po’ un giovane tutto sorridente mi raggiunge e chiede se può essermi utile: - Una birra, possibilmente scura, per favore! – Un’artigianale, potrebbe andare bene? - domanda gentile, io annuisco convinto. Passano cinque o sei minuti e mi viene servita la birra con un piatto di fette di pane tostato e ben oliato. Il giovane nota la mia sorpresa e mi informa, garbatamente, che l’olio è di loro produzione, il profumo  è davvero delizioso e anche la birra ha un ottimo aroma. Sono ormai le sei e trenta del pomeriggio quando il trillo del cellulare mi distoglie dalla lettura, è Antonio: loro sono già fuori sulla piazza grande della cittadina lacustre. Pago il conto, acquisto anche il libro, un po’ di peso in più nello zaino ma il testo mi intriga molto e non intendo rinunciarci. Quando raggiungo gli amici, subito mi accerchiano per curiosare il titolo del libro: Le radici della prostituzione (sottotitolo) La matrice di tutte le violenze è la violenza dell’uomo sulla donna. La serietà del testo che sviscera l’argomento dal punto di vista storico, sociale e antropologico non giustifica affatto le risate, le allusioni e i commenti dell’allegra brigata. Decidiamo, quindi, per una visita alla chiesa di Santa Cristina e alla Cappella del Miracolo. La storia racconta, infatti, che nella seconda metà del secolo XIII, un prete boemo, tale Pietro da Praga, che pare nutrisse molti dubbi sulla transustanziazione ovvero sulla reale
presenza del Corpo di Cristo nel pane e nel vino consacrato, durante la celebrazione della messa, allo spezzare dell’ostia abbia visto sgorgare da questa alcune gocce di sangue che macchiarono non solo il corporale di lino ma anche alcune lastre di marmo che, a loro volta, rivestivano il pavimento nel percorso tra l’altare e la sacrestia, luogo nel quale aveva cercato rifugio il sacerdote non solo confuso ma sicuramente molto scosso ed emozionato dall’evento. Nella cappella sono tuttora conservate le lastre di marmo, mentre il corporale di lino è conservato con l’ostia macchiata di sangue nel Duomo di Orvieto. Il papa Urbano IV, dopo aver fatto le necessarie verifiche, dichiarò la soprannaturalità dell’evento e, a ricordo perenne per tutta la cristianità, proclamò la solennità chiamata Corpus Domini: correva l’11 agosto 1264. Dopo la visita al luogo sacro ci portiamo verso l’affollato ed elegante lungo-lago e, alle prime luci del tramonto, ci infiliamo nell’Osteria del Contadino, dove il proprietario ed un cameriere, vestiti con il classico paio di pantaloni di velluto a coste larghe, sorretti da coloratissime bretelle sopra una camicia di flanella a quadri colorati e con sul capo un cappello di paglia (da veri contadini) servono delle succulente pietanze dell’ottima cucina viterbese: dopo tanta fatica la giusta e meritata cena! Alle ventuno e trenta siamo già in camera, adesso la stanchezza si fa davvero sentire. A domani!
Pietro

2° giorno Bolsena Monterfiascone
3° giorno - Montefiascone-Viterbo
4° giorno: Viterbo-Vetralla

 
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